Introduzione all’emancipazione petrolifera
Più veloce del buio – amico dell’asimmetria – strabico forse, la rete del buio – strabico con la mano sul cazzo – a cercare l’infelicità, o sarebbe meglio dire nulla – non essere felici – non essere tristi – apprezzare e combattere il decadimento – ascolta la frana – il silenzio che sommerge ha la forma del fango – la presunzione di un’amante strangolata nel suo ruolo d’impiccata che ride, e non scende – e non scende dal suo patibolo – Viva alla faccia vostra – la noia ha lo sguardo di uno spermatozoo – forse l’ultimo colpo in canna – di chi è diventato – tragicamente ordinario – di chi ha scelto la via del bruco – una top model in giro col sacchetto della spazzatura, ordinaria, sciatta e sublime io sono – svuota le lacrime nel cesso – un vortice grasso, l’oceano buio e immobile, le cinque del mattino – l’aria risucchiata dal sole sa di limone marcio bocchino amaro e grappa puzzo di merda – strapparsi di dosso le mutande e scoprirsi bambola – cardiotester, ginnastica, dieta e buio. Sveglio.
Emancipazione Petrolifera
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A
Tremore, capezzoli dipinti di rosso – truccati come motorini, o come macchine della polizia – minacciosa e ferma la tagliola mi guarda, la mia zampa recisa, la lingua ruvida, i dentoni della puttana, parrucche d’ossidiana, istituzioni & prostituzuioni fanno girandolina, vertigo e tv color guardato di spalle, sulla parete…ed io sono il cono d’ombra ed anche la tua bocca e d’ombra cumulonembo sul prepuzio e poi precipizio, rocce che si sgretolano, carismi calanti, duci col braccino da nano simulano urlini velocizzati a 45rpm e pisellini da rockstar ma sembrano fans malpagate e forse sì, appagate – gli storici baffetti eruttano democrazia, platea butterata in plauso: la serietà, la responsabilità, l’allineamento e l’estasi – baffetti che lasciano miracolose macchie di rossetto su tazzine di caffè in porcellana madonna\che\piange – se piangi, se ridi – solo Gino [Gino de Dominicis, artista n.d.a.] l’ha fatta ridere! non si può continuare a venerare dei affranti o infrangerli continuando a deificarli i venerei no, no, no è giunta l’ora di crocifiggere buddha e vedere il suo sorriso idiota tramutarsi in urlo – il ricambio sta alla base della natura e i su’ processi – lo dice anche il meccanico fiat di fiducia – ed il processo o si perde o si vince o X – l’avvocato è solo una tua protesi costosa e, si dice, vivente – magnetofono umano e cosciente di sè, silicone di puppe criminose – soggettiva di scugnizzo in scooter per i vicoli – la sola luce del fanale illumina il turista con occhi sbarrati – tu mi fai orinare champagne!- donne nude si rifugiano ai suoi piedi – intanto in campagna un carosello di cloro da piscina sterilizza mille ettari di Terra, ed in piscina stanno senz’acqua su due materassini polverosi, due pseudomilionari col sigaro accanto a puttane morte all’alba sul fondo, fra le righe blu che movimentano il mosaico – bizantinismi? No, è la gerarchia che si paluda d’ori e occhiaie fino al suo acme – è piuttosto caravaggesca la vita nel suo risolversi da tali premesse – affiorare dal buio, deflorare nel buio ondulatori e senza cattiveria – solo tanta buona meschinità spalmabile per la tua merenda da campioni – un campione di football coi labbri sudici di cioccolata tiene in braccio una bambina e come Lenin indica il futuro (con una caccola sul dito)-
B
Turisti e futuristi boccheggiano a Venezia, mentre olimpionici fiorentini neorinascimentali, nazisti & baristi a inculata gemono 6000 lire per un cibino artificiale da microscopio elettronico dietro il loro volto marmoreo di smog e anglobarbarico – volgarità del Basso Impero, tutte le tronche con la “e” in fondo – do yu wante e sendwicce? – gli stolti pagano invocano benedizioni – la gotta ha comprato tutte le loro azioni & articolazioni mentre sacrificavano buoi ogni giorno al loro dio\stomaco – Stomachevole divinità – Venezia e Firenze ci provano con tutti i loro puzzi & dialetti a cacciare lo straniero – migliaia di persone che divorziano simultaneamente, anatomia e distacco, vivisezione di cuori\latrina – palazzoni oberati dal silenzio e dall’odio per gli animali, circondati da pestilenziali autodromi, zecche di monete ottenute dalla rottamazione agevolata e involontaria della tua auto, ebbro e sanguinante conio, un volto di carne e di profilo inciso e incassato nelle lamiere più bello della Nike di Samotracia un livido unico dalla bazza ai capelli che si staccano come fiori dalla mota – neri steli – centrifuga di miserie e bambini proibiti; è facile odiare la musica e gli animali se si vive così – è automatico – l’ambulanza è scolpita in fondo all’ingorgo e raffinati restauratori approntano le loro spatole per staccare l’affresco umano e già morto dalla sua nicchia di acciaio a buon mercato – più che una bara ci vorrebbe una busta, magari di quelle col pluriball oppure un tubo da disegni – il brigadiere intanto scrocca una malboro al morto, allontana i curiosi – odore di pasticceria – buio arancione – i turisti falcano a gambe gnude e ritorte come olivi albini le zone a traffico limitato, le aree pedonali, i mausolei, i ladri ricchi & poveri, i loro dimenticabili successi, un giocoliere, un cartomante, alcuni militari in libera uscita, sdentati e cellophanatisi i capellini corti vanno alla deriva convinti di divertirsi alle spalle del presidente della repubblica che riducchia da una foto ed elargisce uniformi demodè; il parlamento finge di votare, piove LSD su Roma ed i tifosi si bruciano come bonzi – le guerre sono faxate a bassa risoluzione, quadrettini e pixel che accentuano l’irrealtà – l’immaginario informativo esce 140 parole al minuto da bocche umane e liquide animate su sfondi a tinte piatte, gli occhi disegnati il naso finto, puppe & fagioli rifatti – un decennio di avanzi saltati in padella col burro d’arachidi e altri troiai americani, un decennio di fotocopie col toner finito all’infinito, un decennio di calchi di idee bloccate di novità inventate, un decennio conveniente: tutti gli altri decenni al prezzo di uno, una trincea chiamata eclettismo accoglie tutti dal dubbioso sincero allo squalo tigre e l’uomotigre non lotta contro il male ma lottizza molto, un decennio come un polpettone dopo la massacrante settimana gastronomica del novecento, quella che ha montato turbo intercooler ai ciuchi col barroccio senza anestesia, che ha deodorato col propano i proletari e i contadini, che ha trasmesso loro ideali per cui battersi coi baci perugina e casine d’acqua e zucchero di cento piani dove ogni scoreggia è una festa paesana e l’odio nel midollo spinale conta ogni globulo rosso annerito e minaccia “Verrà il giorno….” ed il giorno venne – un eclisse tumultuosa esplose il bubbone di sole frantumando i mille cerotti novecenteschi, le purulenze inondate di sangue fresco crepitavano travolte come dal magma – l’etna esplodeva fiori ceneri e neve – le simmetrie si rivoltarono come gatti feriti ed i cani da esposizione sbranarono braccia con orologione, le unghie limate ed il trofeo di latta in mano – le cinte murarie strabuzzarono sugna con volti di conoscenti e nemici a candirla, berretti di carabinieri per aria come granella, le cispe negli occhi a presa rapida accecarono piloti d’auto blu e il senatore, il primo ministro ed i lacchè finirono decapitati in fuga da una pala d’elicottero del regio esercito – un residuato di Fort Lauderdale in realtà, di quando i caccia venivano inghiottiti dal triangolo delle bermude e le bermude erano pantaloncini alla moda per twist sul panfilo con la gambina ramata e tutto ciò era decisamente sessuale, prosaico e maschilista ed i colori erano meno grigi e l’oceano per le nostre crociere era un suggestivo mestruo industriale blu, dipinto di blu con il colorante apposito e nocivo – negli anni sessanta era tutto più roseo, anche i prosciutti cotti – le sigarette facevano elegante, la benzina aveva più piombo d’una cannoniera e Moschè Daian era un eroe – anche kennedy – ora sì che abbiamo un bel daffare a levarci questa cingomma dalla suola, tutta spiaccicata com’è, impastata di terzi mondi e occhioni lacrimosi – è un bel dire siamo in troppi, e le astronavi per emigrare non ci sono finchè lo spettro di Einstein ci fa le linguacce e ci scherza “la velocità della luce non si raggiunge, non si supera….”….ma la velocità del buio? Ve lo siete mai chiesti? La materia nera….il petrolio….
C
Invaghitasi di un dolce petrolio notturno, passava tutti i tramonti alla fioca radiografia d’un lume, un fiammifero che appena sfregato emetteva un rosso fumetto di decadanza del sole con scritto “vissi d’arte…” – un effimero baloon di fiamma e accendeva il lume puzzolente della vita lo guardava senza cedere alla tentazione di sditalinarlo, una volta si bruciò i polpastrelli, polpastrelli alla griglia, roba da gran gourmet – era senza impronte digitali perciò analogiche, impareggiabile diva omologata, un’evaporata, una vanesia, una cazzona che legge segni e misteri in ogni chincaglieria cronologica in ogni sbuccino temporale – i fulmini sembravano nervi quella notte, la marmorizzavano come vasi capillari e come essi esplodevano e poi buio – le somiglianze delle cose organiche, mi chiedevo…vene e fulmini…mi chiedevo se la vita cosciente non è solo la somma di vite incoscienti e monocellulari coi celerini che spaccano il culo ai protestanti, così, da bravi cattolici, ma a ghigno duro e casco azzurro! l’arte permette di fare terrorismo senza morti nè feriti, forse feriti ai propri ideali ai propri interessi, il terrore di un’epoca il suo avvento, l’epoca del comune privilegio, l’avvenire – l’arte deve far soffrire questi nemici deve urtare le morali le religioni e le banche, rimescolarli come una polenta sennò tutto si raggruma – l’arte deve essere travaglio, travaglio spontaneo di partoriente, deve concepire – anche a costo dello stupro deve fecondare – l’arte che fa sì sì col capino diligente ed incassa il suo appannaggio di complice, che svariona fra spiritualismi mondati d’ogni spigolo ed estremità pungente, senz’angoli amorfa e streamline per sgusciare aerodinamica in un piccolo cielo di codici permessi e deputati…quella roba lì deve essere passata al frullatore, diventare una mousse, una crema acrilica, una tinta piatta di sfondo sulla quale affioreranno noccioli, cancri, grumi, grassi, muscoli, calcoli, nervi – la roba che non si omogeneizza, la roba che si corrompe – l’essere la roba che è – l’intelligenza svogliata fa le moine, chiede tempo, fa gli sforzi paonazzi come un cinquantenne puttaniere in palestra – il suo cuore di mocassini balla la rumba – è lucida lei a differenza del cervello sfrangiata giacca da cowboy presa a prestito da john vein, ancora polverosa di cavalcate nel deserto – altri 6.000.000.000 di individui ne hanno una uguale, originale eh? un pezzo unico…
La puerpera s’ammanta di crostacei fritti, le voglie la strizzano e la risciacquano, il creaturino reclama cibo, s’apre lo spioncino dell’ombelico materno e come una massaia sospettosa osserva il rappresentante che vuole vendergli il mondo: decide di autoabortirsi – ogni mamma è come un sommergibile, anzi il suo opposto – il liquido (amniotico) sta dentro non fuori, così come il piccante periscopio – il piccolo osserva dallo spioncino – miliardi di cuccioli di topo, neonati fuggono terrorizzati da una mostra – cosa può averli così atterriti? certo che la mostra è sorella al mostro, ma hanno ancora gli occhi chiusi…a volte basta il puzzo, l’odore della paura fa fare cose impensabili – ecco ora allunga il braccino dal buco della madre svampita che giocherella col petrolio, e coglie un topolino: è vestito cool coi pantaloncioni e le scarpe da skeit – il piccolo si decide ad uscire – è timido e viscido come una lumaca le sue antenne strascicano sul marciapiede, la madre non s’accorge di nulla – ma lui è fuggito – lui è tutto brodoso e immobile dado gelatina trepidante cucchiaino d’argento inghiottito in essa – proiettile – pian piano secca s’incartapecorisce diviene merda di cane estiva – polverizzato, alcune parti ancora grattugiabili su zucche insipide e superbiose, ma è inutile – un caso di aborto spregevole dove la madre non si è accorta di nulla e crede di trovare altrove suo figlio in una gravidanza isterica al termine del ciclo quando una saccoccia oleosa e urlante la sventrerà amichevolmente e chiederà nella lingua prebabelica dei neonati ” dov’è la mia anima? perchè l’hai fatta scivolare via sulle tue coscione depilate come un rivolo di mestruo? che sbadata che sei! quella roba morta è petrolio cara mamma, eri ricca! non lo bruciare inutilmente prima delle notti di luna nuova quelle notti senza luna e senza stelle, quando il buio è così denso ed implacabile che la fiaccola si fa necessaria – solo allora accendi la fiaccola che brucia il buio per ottenere la luce, la materia nera che compone il 90% dell’ esistente vuole questo tipo di fiaccola – non le lunatiche notti estive ed invernali ed i chiari crepuscoli – parlo di notti cosmiche degli abissi della terra e le gole, il dentro degli organismi e delle madri a palpebre spente nel sonno profondo, gli abissi oceanici; la notte sull’atlantico e le bombe di profondità che vi implodono senza rilasciare nessuna forma di luce, il nero…sono tutt’uno con la roba che sta in mezzo alle stelle, con quello sfondo al quale siamo tutti appesi e messi in belle evidenza, sul nero, il passepartout che la luce nega e le dimensioni ingoia – e si proclama unica sanguinaria ideologia, unica religione, unico e percio negazione di ogni molteplice sberleffo interpretativo, unico perchè in questa densa deprivazione sensoriale a l’uomo non rimane che tacere – i giochi di luce ingannano – il petrolio è costante e inspiegato è una sicurezza trovare la nera amalgama del cosmo anche qui sulla terra, in forma semi solida, fluida sempre pronta a divenire roccia o etere – indecisa manifestazione divina della giustezza del ricco, il suo cappellone texano, il suo sorriso beffardo, la sua essenza sotto gli stivali. Come hai potuto sposare un simile mos
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da “La Felicità Terribile
Ass Cult Press 2013 – di Andrea Betti
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Andrea Betti
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